Sguardo in su ... Trieste
by Bertus
Trieste, piazza dell'Unità in occasione della visita di Benito Mussolini il 18 settembre 1938 durante la quale venne annunciato per la prima volta il contenuto delle leggi razziali fasciste
Storia di Trieste
Il Fascismo

Lo sviluppo del fascismo a Trieste fu precoce e rapido. Nel maggio 1920 si costituirono in città le prime Squadre volontarie di difesa cittadina, nuclei di squadristi fascisti al comando dell'ufficiale di marina Ettore Benvenuti. L'11 giugno arditi di un reggimento d'assalto in attesa dell'imbarco per l'Albania percorsero le vie centrali della città inneggiando alla rivoluzione ed usando le armi contro gli ufficiali. Solo a tarda notte l'insubordinazione rientrò, con un bilancio di due morti e diversi feriti. Sempre in giugno veniva aperta la sede dell'Avanguardia studentesca triestina, anch'essa di chiara ispirazione fascista. In tali organizzazioni vennero reclutati gli squadristi che, il 13 luglio 1920, capitanati da Francesco Giunta, incendiarono l'Hotel Balkan, nel corso di una manifestazione antislava, convocata dai fascisti triestini cogliendo a pretesto i morti degli incidenti di Spalato.[59] Durante i disordini, furono gli stessi squadristi ad appiccare fuoco all'edificio, mostrando « [...] con le fiamme...che ben si possono scorgere da diversi punti della città, la forza del fascismo in attesa».

Nel dicembre 1920 il fascismo apriva in città un suo giornale, Il popolo di Trieste che iniziò a propagare l'idea che il crollo del decrepito e anacronistico Impero austro-ungarico offriva finalmente la possibilità, ai triestini e ai giuliani in generale, di svolgere una funzione importante nell'Adriatico e nei Balcani, in chiave imperialista. Sensibili a tale richiamo furono «industriali in pericolo, borghesi dall'avvenire incerto, ufficiali smobilitati, studenti inquieti, popolani ambiziosi». Le elezioni del 1921 videro a Trieste una notevole affermazione della coalizione fascista (il Blocco italiano) che ottenne circa il 45% dei voti totali. Non c'è pertanto da stupirsi se, all'indomani della marcia su Roma (28 ottobre 1922) l'occupazione di alcuni edifici pubblici della città da parte degli squadristi locali, capitanati da Francesco Giunta, avvenne con il beneplacito delle autorità. Qualche giorno più tardi sfilò per le vie di Trieste un corteo di fascisti, accompagnati da un reparto di "cavalleria fascista". Era iniziato, anche per la città giuliana, il ventennio nero. A seguito delle fiamme seguirono varie esplosioni, probabilmente dovute a un deposito di armi presente nel Balkan.

Con l'avvento del fascismo fu inaugurata, a Trieste e in Venezia Giulia, una politica di snazionalizzazione delle minoranze cosiddette allogene. A partire dalla metà degli anni venti si diede l'avvio all'italianizzazione dei toponimi e dei cognomi, nel 1929 l'insegnamento in sloveno e in altre lingue slave fu definitivamente bandito da tutte le scuole pubbliche cittadine di ogni ordine e grado e, poco più tardi, furono sciolte tutte le organizzazioni slovene. L'obiettivo era quello di assimilare forzosamente i gruppi etnici minoritari in spregio alla propria cultura e tradizioni. Tale politica, unitamente alle azioni antislave degli squadristi, spesso costellate da morti e da feriti, ebbero gravissime ripercussioni sui delicati rapporti interetnici. Le organizzazioni indipendentiste e terroriste slovene, fra cui il TIGR e la Borba, reagirono agli assassinii perpetrati dai fascisti con altrettanta brutalità: si moltiplicarono gli atti di resistenza armata e si verificarono azioni violente contro gli esponenti del regime fascista e i membri delle forze dell'ordine o, in alcuni casi, anche contro semplici cittadini.

Nel 1930 si produssero a Trieste due attentati ad opera del TIGR: quello al Faro della Vittoria e, ben più grave, quello alla redazione de Il Popolo di Trieste, che causò la morte dello stenografo Guido Neri e il ferimento di tre persone. Le autorità di polizia procedettero quindi ad una vasta azione investigativa, debellando le cellule di resistenza: gli accusati (tutti sloveni) di vari crimini comprendenti - oltre agli attentati dinamitardi - anche una serie di omicidi, tentati omicidi ed incendi, vennero quindi processati dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943) traslato per l'occasione da Roma a Trieste (primo processo di Trieste). Il processo si concluse con una condanna esemplare: a quattro imputati fu inflitta la pena di morte (Ferdo Bidovec, Fran Marušič, Zvonimir Miloš e Alojzij Valenčič) e furono fucilati a Basovizza il 6 settembre 1930, ad altri dodici vennero inflitte varie pene detentive variabili fra due anni e sei mesi e trent'anni. Due vennero assolti.

Nel dicembre 1941, a guerra già iniziata, fu celebrato, sempre a Trieste, un secondo processo dal Tribunale speciale per la Difesa dello Stato contro nove membri del TIGR (sloveni e croati) che furono accusati di terrorismo e spionaggio. Cinque di loro (Pinko Tomažič, Viktor Bobek, Ivan Ivančič, Simon Kos e Ivan Vadnal) furono giustiziati a Opicina, gli altri imprigionati. Con questo secondo processo l'organizzazione terrorista (antifascista) venne per sempre annientata.

L'entrata in guerra dell'Italia a fianco della Germania nazista, nel giugno 1940, comportò per Trieste, come per il resto d'Italia, lutti e disagi di ogni tipo, che si acuirono negli anni successivi, con il protrarsi del conflitto. L'aggressione italo-tedesca alla Jugoslavia, nella primavera del 1941, riaccese inoltre la resistenza slovena e croata in Venezia Giulia, soprattutto a partire dal 1942. Gli eventi bellici, e, in taluni casi, una deliberata politica terroristica delle truppe di occupazione tedesche e italiane nei confronti delle popolazioni slovene e croate soggette al loro dominio (villaggi bruciati, decimazioni, uccisioni indiscriminate di civili), unitamente all'apertura di campi di concentramento per slavi nello stesso territorio italiano in cui persero la vita migliaia di innocenti, approfondirono ulteriormente il solco d'odio interetnico che il fascismo aveva contribuito ampiamente a creare. Tale odio non fu estraneo alla tragedia che sarebbe stata vissuta dalla città di Trieste e dall'intera Venezia Giulia durante e dopo la seconda guerra mondiale.

Fin dall'estate del 1942 si ebbe una recrudescenza della violenza squadrista nella città giuliana che si protrasse fino alla caduta del Regime (25 luglio 1943). Il segretario del fascio locale, il moderato Gustavo Piva, fu sostituito dal fascista oltranzista Giovanni Spangaro, che godeva dell'incondizionato appoggio, a Roma, dal segretario generale del PNF, il triestino Aldo Vidussoni. Violenze contro slavi e antifascisti italiani si intensificarono sia a Trieste che nella sua provincia, talvolta con conseguenze mortali (a Cossana due contadini vennero trucidati). Il 30 giugno 1942 si costituì a Trieste un Centro per lo studio del problema ebraico, su imitazione di quello romano, e il 18 luglio successivo fu assalita e danneggiata gravemente la sinagoga, già presa di mira un anno prima. Nei mesi che seguirono i fascisti devastarono anche molti negozi di ebrei e slavi, senza però riuscir mai a coinvolgere in tali azioni di teppismo politico la cittadinanza triestina, stanca delle violenze squadriste. Nel 1942 iniziò a funzionare anche l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia con sede in una palazzina di via Bellosguardo, che ben presto si convertì in un luogo di torture e di morte per antifascisti o supposti tali. Conosciuta come Villa Triste, fu l'antesignana di tante altre Ville Tristi italiane che da essa presero il nome.
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